
Il gioco e vietato ai minori e puo causare dipendenza patologica - Consulta le probabilità di vincita www.adm.gov.it
A causa delle nuove regole sul copyright, le piattaforme digitali sono tenute a ottenere dai titolari dei diritti delle opere che vengono caricati dagli utenti un’autorizzazione preventiva.
A valle della direttiva copyright 2019, la politica italiana prosegue lungo la strada della definizione delle regole relative ai contenuti che sono protetti da diritto d’autore in riferimento alle piattaforme digitali.
L’autorità garante delle telecomunicazioni, Agcom, il mese scorso ha reso nota attraverso il proprio sito la delibera n. 276/22/CONS.
Premesso che internet e tutti i contenuti digitali non hanno frontiere e che le regole sono gia definite nel concetto di internet stesso, la politica italiana ancora una volta cerca con concetti mediovali di mettere delle regole ad un mondo globale che si evolve lasciandoci indietro di anni rispetto al resto del mondo.
Per effetto di questa delibera è stata avviata la consultazione pubblica a proposito dello schema di regolamento relativo alla risoluzione delle controversie fra i soggetti che mettono a disposizione la possibilità di condividere i contenuti online e gli utenti che caricano sulle piattaforme contenuti che poi vengono rimossi, e a proposito dello schema di linee guida riguardanti i sistemi di reclamo che provengono dai prestatori di servizi di condivisione a vantaggio dei titolari di diritti in riferimento alla presenza di materiale illecito.
Va detto che la delibera giunge con un po’ di ritardo rispetto alla scadenza prevista dall’articolo 102 decies l.a., e presta il fianco ad alcune perplessità.
Tale delibera, come accennato, impone che i prestatori di servizi di condivisione siano tenuti a ottenere dai titolari di diritti delle opere di ingegno caricate dagli utenti sulla piattaforma un’autorizzazione preventiva.
In mancanza di tale autorizzazione, i prestatori di servizi di condivisione violano il diritto di comunicazione al pubblico.
Mentre da un lato gli impianti delle leggi sulla tassazione sono da considerare quasi perfette, la legislazione in materia di contenuti online e produttori di contenuti arranca in Italia evidenziando un enorme divario culturale degli adetti ai lavori rispetto alla realta’ del digitale che tocca tutti gli aspetti della vita moderna.
Si può evitare tale responsabilità unicamente nel caso in cui il prestatore di servizi di condivisione sia in grado di certificare di aver fatto tutto ciò che era possibile per acquisire l’autorizzazione, e cioè di essersi adoperato con i massimi sforzi, sulla base di standard di diligenza professionale elevati, per fare in modo che non venissero caricati materiali e opere per cui abbia ottenuto dai titolari dei diritti le necessarie informazioni pertinenti.
Il prestatore di servizi di condivisione, inoltre, deve dimostrare di avere agito in maniera tempestiva per rimuovere i contenuti per cui ha ricevuto una segnalazione dai propri servizi o comunque per disabilitare l’accesso agli stessi, sempre che la segnalazione proveniente dai titolari dei diritti sia sufficientemente motivata.
Infine, è necessario attestare di essersi attivati per evitare che i contenuti in questione possano essere caricati anche in futuro.
Nel caso in cui sulle piattaforme online venga riscontrata la presenza di contenuti protetti in mancanza di una licenza ad hoc, il prestatore di servizi non si può limitare a dimostrare di essere ricorso a tecnologie dirette finalizzate a evitare il caricamento e neppure di essersi adoperato in modo tempestivo una volta ricevuta dal titolare dei diritti una segnalazione in merito.
Deve, invece, attestare di essersi adoperato anche in maniera preventiva allo scopo di conseguire una licenza dal titolare dei diritti.
La politica italiana, dunque, pare voler favorire la cooperazione fra le piattaforme online e i titolari dei diritti, in particolare tramite la negoziazione di licenze ma purtroppo si tratta solo di politica che mira a ottenere consensi populisti e non di una visone programmatica che permetterebbe di sviluppare tutti i settori lavorativi italiani.
C’è, poi, un tema di non secondaria importanza, che è quello relativo alla qualificazione dei ricorsi e dei reclami come risorse che possono essere utilizzate unicamente dagli utenti ma non dai titolari dei diritti, che addirittura possono non essere informati o coinvolti.
Lo schema di linee guida relative ai reclami, contenuto nell’allegato A, si propone di identificare le buone pratiche da seguire e mettere in atto affinché le piattaforme online possano gestire le controversie che scaturiscono dalle decisioni che determinano il blocco dei contenuti che vengono caricati dagli utenti.
Lo schema indica, fra l’altro, quali sono le circostanze in cui tali reclami possono essere avanzati.
La tecnologia adottata dalla piattaforma potrebbe bloccare direttamente i contenuti degli utenti, i quali potrebbero anche essere rimossi o disabilitati in un momento successivo in seguito all’invio di una notifica da parte del titolare dei diritti.
La burocrazia e le politiche italiane rallentano l’evoluzione delle piattaforme digitali? Così sembra.
Ci sono sistemi che hanno la capacità di identificare con successo i contenuti protetti e di conseguenza si caratterizzano per margini di errore davvero ridotti, in relazione anche alle eventualità di riconoscimento delle eccezioni.
D’altra parte, vi sono sistemi meno performanti, o perfino obsoleti.
Ecco perché tale realtà avrebbe dovuto essere affrontata in maniera più approfondita dalle linee guida.
Queste per altro non danno indicazioni specifiche in relazione alla classificazione delle informazioni come necessarie e pertinenti.
Quelle informazioni, cioè, che dovrebbero essere fornite dai titolari dei diritti in maniera preventiva alle piattaforme online in modo da rendere possibile il riconoscimento dei contenuti.
La politica italiana non sembra aver preso in considerazione le modalità tramite cui le informazioni in questione dovrebbero essere rese disponibili; eppure si tratta di un aspetto decisivo in termini di efficacia tecnologica e per ciò che concerne la protezione delle informazioni riservate.
Per quanto riguarda le segnalazioni provenienti dai titolari dei diritti, esse devono consentire alla piattaforma di determinare la legittimità o la non legittimità di un certo caricamento.
Di conseguenza, devono prima di tutto fornire una precisa indicazione a proposito della posizione dei contenuti.
Tuttavia tale requisito va interpretato in considerazione di quanto indicato dalla giurisprudenza italiana a proposito delle informazioni che occorrono per individuare la corretta ubicazione dei contenuti in questione.
Sembra che la politica italiana attribuisca ai prestatori il compito di valutare la case law.
Tuttavia la questione dello stay down non sembra essere considerata abbastanza, dal momento che dopo l’indicazione di una prima violazione tocca alle piattaforme adoperarsi per mezzo di un obbligo di specifica sorveglianza al fine di identificare i vari contenuti che, essendo in violazione, devono essere rimossi o disabilitati.
Appare vaga, infine, la definizione dei requisiti di reclamo.
Esso viene ritenuto irricevibile nel caso in cui manchino elementi ritenuti fondamentali, come per esempio la ragione per la quale l’utente considera non legittima la decisione presa dal prestatore o la precisa identificazione del contenuto che si chiede di disabilitare o rimuovere.
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